Un tocco di zenzero

Fin da piccolissimo Fanis ama rifugiarsi nella soffitta del negozio del nonno, un mondo di odori e di colori cui il nonno ha dato simbologie astrali. L’insegnamento dell’astronomia passa, infatti, nelle parole del nonno, attraverso lo studio delle proprietà del pepe e dello zafferano, del loro valore e del loro utilizzo. Fanis impara a conoscere gli elementi e rimane affascinato dalla possibilità, quasi da demiurgo, di poterli unire e mischiare sapientemente per creare nuovi universi. Egli, in fondo, vorrebbe proiettare quest’abilità anche nella vita di tutti i giorni, vorrebbe controllare gli eventi e gestirli con la stessa facilità e abilità con cui compone le sue ricette. Non ci riuscirà mai. Allontanato dal nonno e dal suo giovane amore trascorrerà molti anni in Grecia sentendosi estraneo a tutto e a tutti, rinchiudendosi in un mondo in cui l’atto del cucinare e di miscelare sapientemente le spezie diventa l’unico modo per mantenere vivo il ricordo delle persone care abbandonate di là dal confine e di relazionarsi con il mondo. I gesti, come quello continuo di strofinare la punta dell’indice con quella del pollice come a dosare qualche polvere, appaiono come un codice segreto di intesa e di appartenenza, lo strumento per richiamare il passato perduto. Raggiunta la maturità egli tornerà a Istambul per insegnare astrofisica e trascorrerà la sua vita rifugiandosi nella bottega del nonno ormai abbandonata e chiusa.

Nel film di Tasso Boulmetis, che nel 2005 fu anche candidato all’Oscar, i continui riferimenti all’uso delle spezie, alla modalità di preparazione dei piatti tradizionali, rappresentano gli “universi” culturali in cui Fanis si dibatte cercando di ritrovare il suo passato trascorso nel “pianeta” felice del nonno.