I Nabatei, un popolo nomade di commercianti del nord dell’Arabia, erano grandi viaggiatori e furono loro ad aprire la prima strada carovaniera, la Via dell’Incenso, circa otto secoli a.C. Con lunghe colonne di cammelli e asini, attraversavano in lungo e in largo l’Arabia, arrivando fino in India e in Cina. Il loro primo obiettivo era trovare incenso e spezie da rivendere ai greci.
Con il passare dei secoli, si stabilirono nella zona di Petra, oggi in Giordania, e acquisirono grande esperienza nei viaggi marittimi, insieme agli Arabi del sud. L’Arabia intera divenne così il punto d’incontro dei commerci tra Europa, Africa e Asia e gli Arabi. Verso il V secolo a. C. conquistarono il monopolio del commercio delle spezie. Essi cercarono di proteggere il loro tesoro, in ogni modo, dai Romani e dai Greci, raccontando storie fantastiche e cercando di tenere celati i luoghi dove si trovavano le spezie.
Con la loro rete mercantile, avevano creato una vera e propria via delle spezie che attraversava il Mar Rosso, giungeva in India, a Kerala, il punto di raccolta del pepe, passava dallo SriLanka, attraverso l’Oceano Indiano e arrivava alle Molucche e alle Isole delle Spezie, si spingevano poi a nord e, attraversando il Mar Cinese Meridonale, arrivavano in Cina dove si ricongiungevano con la Via della Seta, e attraversando tutta la Cina del nord e la Mesopotamia, giungevano a Bagdad. Ma con le loro imbarcazioni si spingevano sino al Mediterraneo e alle coste dell’Africa orientale.
Essi già conoscevano il sesamo, l’aneto, il coriandolo, il cumino, il papavero e lo zafferano che usavano mischiati a farina per fare dei pani di spezie. Commerciavano tutte queste spezie e le trasportavano verso la Grecia e verso Roma insieme a bacche di ginepro, oli profumati alla salvia e alla menta. Secondo la leggenda erano tutti aromi cari alla dea dell’amore Afrodite (o Astante, secondo i paesi) alla quale venivano offerti, per conoscere i segreti delle spezie e delle loro proprietà afrodisiache.
Il commercio delle spezie era così lucrativo che Alessando il Grande, dopo la conquista dell’Egitto nel 331 a. C. fondò Alessandria che divenne il centro commerciale delle spezie e la testa di ponte per i paesi del Mediterraneo. Benché gli Arabi continuassero ad avere il monopolio delle spezie, Alessandria divenne ricchissima solo con le tasse pagate sulle spezie.
I Greci avevano una passione straordinaria per gli incensi e le spezie e avevano imparato a scioglierle nell’olio d’oliva per bruciarle: erano destinate prevalentemente a un uso religioso e sacrificale per trovare un canale di comunicazione con gli dei. A Callipolis, in Caria, un’iscrizione ricorda il sacrificio di carni e spezie ad Apollo, “scongiuratore di pestilenze” per tenere lontane le epidemie; all’inizio dell’Edipo re, Sofocle racconta che i tebani cercavano di fronteggiare la pestilenza che flagellava Tebe con spezie e incensi.
Nella storia dei greci, ma anche nei secoli successivi, dei, spezie e malattie appaiono spesso correlati. Con l’evolversi dello studio scientifico della medicina, si perde questa correlazione ma, il ricorso all’utilizzo delle spezie per la cura del corpo e per fronteggiare le malattie, rimane e si intensifica.
Nelle scuole mediche dell’antica Grecia cercavano di catalogare gli effetti curativi e medici delle spezie mettendoli in relazione con le osservazioni empiriche: Ippocrate le utilizzava come medicamenti e il botanico Teofrasto, le consigliava per la loro funzione di riscaldare e di favorire la digestione. Questa passione la riversavano anche nella cucina dove utilizzavano coriandolo, cumino e anice, ancora oggi presenti in molti piatti della cucina greca. Amavano i vini speziati con anice, origano e coriandolo.
Nei palazzi di Cnosso, a Creta, gli archeologi hanno ritrovato alcuni affreschi, che raffigurano delle fanciulle che triturano delle spezie, e numerose tavolette sulle quali gli scribi annotavano le merci conservate in magazzino e, tra queste, le spezie erano in quantità davvero notevoli.
Sempre in Grecia, Saffo, la poetessa dell’isola di Lesbo, si procurava menta, zafferano, cannella e aneto dalla Cina, dall’India e dalla Malesia e le usava per profumare il suo corpo e quello delle compagne.
A confronto dei Greci, popolo estremamente raffinato e gaudente, i Romani erano inizialmente rozzi e poco avvezzi ai lussi. Fu l’influenza da un lato degli Etruschi – che avevano già una conoscenza delle spezie, le usavano per esempio, in un vino speziato alla noce moscata – e dall’altro dei mercanti greci a introdurre le spezie esotiche a Roma.
Le cose cambiarono radicalmente dopo che, nel 146 a.C, i Romani rasero a zero la città di Corinto e la Grecia passò sotto il controllo romano. Moltissimi schiavi greci furono portati a Roma come servitori e molti di essi divennero cuochi introducendo sempre più le spezie nella cucina dei Romani. All’inizio il loro uso fu molto osteggiato dalle classi dirigenti, alquanto conservatrici, ma poi tutti si arresero al loro fascino.
Nel Libro di Apicius, arrivato a noi dal IV secolo a.C, si consacra l’uso delle spezie nella cucina dove avevano la funzione di conservare i cibi, di aromatizzarli e di insaporirli. Tra spezie, aromi ed erbe, ne cita circa 180 fra noti e meno noti. E poi c’è l’elenco degli aromi che non devono mancare in una casa: zafferano, chiodi garofano, semi di papavero, coriandolo, cumino, anice, zenzero e pepe.
I Romani furono così affascinati dalle spezie, che il loro commercio fu una delle ragioni che li spinse alla conquista dell’Oriente. A Roma nel secondo secolo a.C, vi era addirittura una via Piperitaca dove si svolgeva il commercio delle spezie, che rimanevano però riservate alle classi agiate. Nerone ai funerali della moglie bruciò la fornitura di un anno intero di cannella. La spezia più diffusa era il pepe: bianco e nero, tritato e intero e nel 92 d.C. a Roma fu necessario costruire particolari depositi detti “horrea pipearia”, cioè granai del pepe.
Le spezie venivano anche usate per insaporire il sale, poiché i romani lo consideravano un contorno, lo mangiavano spesso con il pane e trovavano logico cambiare e arricchire il suo sapore con le spezie. Il sale “condito” non finiva tutto nei cibi, ma serviva in casa come medicinale di pronto uso per certi disturbi. Ai tempi di Augusto, vi era un’intera flotta dedicata al commercio delle spezie che raggiungeva l’estremo oriente e il luogo di smistamento era Alessandria d’Egitto dove confluivano i carichi che arrivavano via terra e via mare.
Un viaggio nell’oceano Indiano durava almeno due anni, finchè nel primo secolo dopo Cristo, un mercante greco di nome Hippalus scoprì l’andamento stagionale dei Monsoni, soffiavano verso sudest da aprile a ottobre e verso nordest da ottobre ad aprile. Sfruttando i venti e viaggiando in mare aperto e non più solo lungo le coste, si accorse che il viaggio poteva essere fatto in un tempo dimezzato. Tale scoperta dette notevole impulso ai commerci fra l’Egitto, divenuta una provincia romana, e l’India da parte dei Romani che riuscirono a rompere il monopolio degli Arabi. Il commercio di spezie con l’Oriente continuò fino a quando iniziarono le invasioni barbariche.
E anche se nel IV secolo, le spezie erano ancora importanti – infatti, quando Alarico, re dei Visigoti, fece il sacco di Roma pretese, oltre all’oro e all’argento, 5.000 libbre di pepe- con la caduta dell’Impero romano, il commercio verso l’India declinò, lasciando spazio ai mercanti etiopi e arabi che riconquistarono, così, il mercato delle spezie.